sabato 29 ottobre 2011

Tutto quello che arrivi a capire

Sara L. usciva di casa sempre in anticipo. Una tipa precisa.
Parole misurate, gesti corti, sguardi attenti.
Una donna a cui non piacciono i complimenti, che teme i fraintendimenti e le promesse non mantenute, anche quando si fa tardi, troppo tardi, e tempo per le spiegazioni non ce n’è più. E nemmeno la voglia.
E nemmeno lo spazio a dir la verità, anche se la famiglia L. continua ad incontrarsi ogni domenica fuori città, l’intera famiglia raccolta intorno al tavolo, intorno al cibo e ai pretesti di sangue, a raccontarsi successi e sfortune della settimana appena finita.
In questa storia, Sara L. ha 34 anni, un lavoro e un ex marito.
È sabato mattina e la città sta ancora dormendo, oppure rincasa, barcolla per la strada, ride, prende un taxi, insomma, per lo più quello che ti aspetteresti da un venerdì notte metropolitano. E il cielo vira dal viola all’azzurra. E l’aria è gelida. Così gelida che taglia la faccia a Sara, appena uscita da quel portone che le sbatte alle spalle.
In questa storia non succede niente e nemmeno gli imprevisti fanno più la differenza, e comunque Sara esce presto ogni mattina. Nemmeno una notte passata con uno sconosciuto fa più la differenza. Si tratta di semplice cronaca, misera cronaca di noia, amicizie, lavoro, bottiglie svuotate, sigarette svuotate, incontri casuali per l’appunto. Casualità della notte scorsa.
Sara ride. Sara beve. Sara balla i grandi successi degli anni ’90 post comunisti.
Sembra se la sia spassata la notte scorsa, venerdì notte passato al ClubA, vale a dire nella scappatoia cuba libre a 6 lei, poca luce, molta gente, molti cuba libre. Nulla di nuovo in realtà, però l’aveva deciso all’improvviso. Era andata così:
sei mesi prima Sara conosceva Constantin, un magrissimo, ironico e magnetico personaggio. Un casco di riccioli e voce fastidiosa, postura da bevitore, senso dell’umorismo. Sara rimane fulminata. Constantin è impegnato con un‘altra, storia quasi finita però. Lei lo vuole rivedere. Lui è introvabile e schivo come un randagio. Però due mesi dopo, all’improvviso, ricompare. Non si sa perché, solo ricompare. A Sara non sembra vero. In effetti va tutto troppo liscio. Poi sparisce ancora. Definitivamente ‘sta volta. Poi arriviamo al venerdì sera, quando Sara entra nel solito DessBar, ma diversamente dal solito, seduto al banco e mezzo coperto da tre o quattro amici, c’è Constantin. Lei finge di non vederlo e va al banco a prendere da bere. Lui la vede, la saluta, occhi pieni, gioia di rivedersi. Chiacchierano un po’. A Sara scoppia il cuore. E allora si va al ClubA.
Ha deciso di dimenticarlo. Lo deve fare.
Perché sparire vuol dire davvero rifiutare. Perché è stato e ora può anche passare.
E allora avanti con i cuba libre e il sudaticcio attorcigliarsi di mani, di gambe, ed eventualmente anche di lingue in pista da ballo, a muoversi tutti all’unisono sui grandi successi degli anni ’90!
La cronaca può continuare, scontata e indisturbata fino al fragore dei vetri che sbattono mentre il portone si chiude, mentre Sara accende l’ennesima sigaretta che non ha più la gola né il fiato di fumare, mentre diventa vera la storia del sesso con uno sconosciuto, vera ancora una volta, una volta di più.
È successo davvero, è stato e ora può anche passare, essere dimenticato come tutto quello che non conta. Come quello che conta.
Lei stava solo ballando quando Nick le si è avvicinato. Pensa un po’, uno straniero!
La cronaca può continuare con gli attorcigliamenti di cui sopra, a cui segue l’espressione di Sara che stira un sorriso quando Nick le dice che sembra più giovane -la domanda sull’età arriva sempre, si chiama calcolo delle possibilità.
Nick è liberiano, parla inglese e vuole fottere. Le offre da bere e in romeno è solo capace di dire che bella ragazza sia Sara. Patetico. Semplice.
Ancora avanti, fino a quella lucky rossa fumata con leggera nausea, e quasi finita alle otto del mattino, l’ora in cui Bucarest scricchiola e i taxi sono liberi. Ora anche Sara monterà su un qualche taxi e in poco sarà a casa, scivolando sulle strade senza traffico del sabato mattina.
Tornerà a casa e farà colazione, ancora un’altra sigaretta sotto le coperte e sentirà quel vuoto speciale post occasionale.
Soprattutto, avrebbe pensato ai baci di Nick, morbidi di labbra africane, e al nulla assoluto che sentiva mentre anche lei lo baciava, fingendo coinvolgimento, per alimentare il gioco. E dopo aver spento l’ultima sigaretta prima di dormire, con la luce fuori e tutto il resto, avrebbe ricordato che mentre era lì, tra quelle labbra sconosciute e la folla, tutto quello che voleva era Constantin. Tutto quello che arrivava a capire era Constantin.
Amore o ossessione non era così importante, non ci pensava neanche più, che con i pensieri lo consumava l’amore, a immaginarlo, a farci i conti con l’amore.
D’altra parte, come le diceva spesso Laura, il bello della vita è esattamente quello che non sai e, banale ma vero, le infinite variabili. E anche se restava la nausea a ricordarle da dove veniva, Sara era ancora in taxi e fino a casa aveva almeno altri 5 minuti.

lunedì 10 ottobre 2011

ho capito che iniziava a settembre

Re-zare
fuori di qui di giorno come di notte
tutto succede diversamente.
ho sognato di non capire
e il ticchettio della pioggia sembrava
infinito.
ho sognato di capire
di poter almeno intuire i lineamenti di
carne sotto il lenzuolo.
scrivo di te, leggo di te
in me
entri ed esci attraverso
me
esisti in movimento
in lontananza
e Bucarest
non mi è mai sembrata così bella
fatta a pezzi
ora
da te.
fuori da qui c’è tutto il resto
tutto quello di cui non so.




Scrum

ogni sera sono sempre l’ultima
a spegnere la luce.
i miei pensieri gli ultimi a chiedere la porta.





Scrum*
con la luce alle spalle
sono solo una sagoma -mi riduco
proiettata sul muro.
senza profondità scivolo in ogni direzione
e mi scompongo.
senza profondità, senza attrito
senza attrito contro il bianco.






Greata
ho un dannato male di vivere che
mi sporca i sogni i pensieri
il risveglio.
sono diversa come sempre lo sono stata,
sulla testa un notturno di Chopin
nella testa solo il senso
del rifiuto.
ed è un rifiuto quotidiano,
indimenticabile,
nauseante.




Indepartare
lontana da tutto in un letto sconosciuto
sono l’ultima creatura a cui
arriva il tuo pensiero.
dopo un viaggio l’ennesimo viaggio
alla fine del quale nessuno
mi aspetta, tu
sei l’ultima creatura a cui
arriva il mio pensiero
il guscio
per qualcosa che quasi non pronuncio più
per paura che mi cada la lingua