domenica 3 agosto 2008

La mezzanotte è passata da un pezzo e il tramonto congela i colori.

Gru e cupole dorate e le giornate sfilacciate in coda per quanto sono tirate, allungate a dismisura.

Il tempo è come legato a categorie grammaticali inappropriate… allontanamento, avvicinamento, immobilità. Quante ore mi separano dalla semplice comprensione delle cose, dalla possibilità di pronunciare il quotidiano qui, nell’allontanamento di una domanda retorica?  Prendo abitudini nuove,  pian piano smetto di usare gli articoli anche quando parlo la mia lingua, la lingua del pensiero che racconta l’indeterminatezza, l’assenza di possesso… mi allontano, mi avvicino, mi frantumo nell’ennesimo prefisso spaziale, centripeto. Mi sento sola e  assente.

Sono assente e spezzettata, come una bottiglia avvolta in uno straccio e poi fatta in frantumi, rapidamente, nel solo tempo che contiene il rumore sordo dei cocci.

Sparpagliata dappertutto, trasparente. infranta in mille angoli taglienti di vetro umano, senza fondo e identità, e tuttavia presente, viva in mille punti di vista, brandelli di tutto, di un solo punto di vista, il mio, mentre cerca di confrontarsi con il russo e la leggerezza!

 

Oggi la Neva è un negativo ad olio che lambisce l’Hermitage.

Ho guardato negli occhi Pietro il Grande… e non è successo niente!

E sono i miei occhi a cambiare, nuovi, più grandi e non abbastanza a contenere tutto questo splendore. Che non ha limiti. Che non ha senso.

E le parole non bastano e quasi non me ne importa.

Cullata da Nude, in autobus guardo Pietr nello spazio di un finestrino, al tramonto, sulla strada del ritorno. La guardo sfiorarmi in orizzontale come una pellicola inacidita, affascinante e allora capisco, banalmente, che nella mia lingua, esiste un solo verbo, un solo aspetto per spiegare che sono perdutamente innamorata di tutto!