giovedì 17 luglio 2008

San Pietroburgo dalla finestra.

Ci sono e vorrei tornare...

Ci sono e penso al fatto che qui al dormitorio è vietato fumare in camera. 

Dalle mie finestre la città la vedo tutta, metallica sotto il cielo in costante turbamento, movimento, rimescolamento di colori. Il cielo di Pietr è ovunque, in molliche sparse dappertutto, piccole  e morbide, pungenti. Questo cielo è nei vestiti della gente per strada, nei loro ombrelli dondolanti sotto il braccio, soprattutto nei loro occhi.

Sono qui da due giorni e gli occhi dei russi sono stupefacenti. Profondi, tristi, lucidi e trasparenti come specchi di cieli e nuvole, di case vecchie che cadono a pezzi, enormi, grigie di cemento e regime.

Sono qui da appena due giorni e già sono nauseata dagli odori. Vodka, aglio e deodorante alle arance. Non ne capisco il motivo ma tutto emana di sovrapposizione. Ogni cosa mi appare come duplice e ugualmente univoca, squadrata come le prospettive, forte e acuta come il respiro che esce di bocca a tutti, come l’aria che non cambia nel bagno della mia camera, la stanza, la mia inquilina. 

 

 

Le notti bianche e la possibilità di vivere nella luce di un giorno stirato, tirato al limite.

È  l’abitudine di fine giugno ed è un evento a cui ti abitui mentre ancora ti stupisce.

Le lancette segnano l’ 1,13 ma dietro le tendo c’è la luce dell’alba, i rumori della città, la gente che ride e grida anche nella periferia ancora sovietica del dormitorio.

Quando il sole è basso di tramonto, il Golfo di Finlandia si spalanca e ti strappa via il respiro. Stringo gli occhi contro la luce amplificata dal mare e non riesco a credere a tanta bellezza, immensa natura regalata a spettatori di ogni genere, e tutt’intorno la scura sporcizia sovietica, quella grigia e nera, talmente stratificata da penetrare qualsiasi materia, talmente profonda che basta poco per scordarsene e confonderla col panorama.

È una meraviglia di strazio e abitudine, diversità.

Ogni giorno mi riempio di parole e controsensi, comprensione e incapacità espressiva, comunicazione mutilata dall’incomprensione… tutto nega se stesso, come contrario e ugualmente logico, come le notti bianche, il più grande degli ossimori.

È la natura contro cui non si può nulla e tuttavia è la morbidezza dell’individuo, contenuto liquidi nel contenitore incrollabile della latitudine.

Sono notti senza senso e senza freno, snaturate dalla luce, dai colori e negate nella loro stessa essenza… dopo la notte c’è il giorno, dopo il giorno la notte, dopo la notte c’è la notte bianca e San Pietroburgo.

Dopo tutto ci sono ancora io, a interrogarmi sul dolore di tanta bellezza, oltre i vetri delle mie finestre, oltre la mia quadratura occidentale e scheggiata di equilibri cartesiani smussati…