giovedì 22 luglio 2010

La Finestra Aperta

In quel periodo, ad un pittore arrestato fu permesso di portare in prigione con sé anche un astuccio con pennelli e colori. Così, appena entrato nella tenebrosa cella della torre, il primo pensiero del nostro eroe fu una finestra, da dipingere su una delle pareti. Si mise subito al lavoro e dipinse davvero una finestra aperta, attraverso cui vedere l’azzurro accecante del cielo.
La cella così divenne molto più luminosa.
Il giorno seguente, quando la guardia entrò con il solito pane e acqua, fu costretto a coprirsi gli occhi, abbagliato dalla luce che entrava dalla finestra dipinta .

“Che succede qui? - grugnì quello e precipitandosi a chiudere la finestra finì contro il muro.
“Ho aperto una finestra… - rispose il pittore con calma - … C’era troppo buio”.
“ Ha ha ha…. - ghignò la guardia, furente per essersi lasciata ingannare - … l’hai solo dipinta stupido! Non c’è nessuna finestra qui! É solo nella tua testa!”
“ Volevo solo ci fosse un po’ di luce nella cella… - rispose il pittore tranquillamente - … ed eccola. Dalla mia finestra si vede il cielo, e perfino Lei Signore, entrando qui ha dovuto chiudere gli occhi per la luce”.

Ma la guardia a quel punto montò su tutte le furie:
“Mi prendi in giro?! Questa torre non ha finestre, e chi entra qui se la scorda la luce del sole!”
“Eppure nella mia cella c’è luce, ed entra dalla finestra aperta” disse il pittore.
“Si… ?! - lo schernì la guardia - … allora perché non evadi? Così mi convincerai che si tratta di una vera finestra”.

Il pittore lo guardo attentamente, poi mosse pochi passi verso la parete e si lanciò fuori dalla finestra.

“Fermo… !” esclamò la guardia sbigottita, cercando di afferrarlo ma urtando ancora una volta contro il muro, violentemente.
“Allarme! È evaso…! cominciò a gridare mentre, attraverso la finestra aperta, si sentiva il corpo del pittore precipitare fendendo l’aria, e sfracellarsi sul selciato ai piedi della torre.

Ana Blandiana
Fereastra Deschisă
Una piccola immagine

Fuori piove. Piove di nuovo, dopo qualche settimana di siccità. In altre parole da sopra, dal cielo, cadono gocce d’acqua. Su di noi, uomini, e su tutto ciò che abbiamo costruito in questa città: sui palazzi, le automobili, sull’aeroporto e la stazione. Piove.
Tra quelli costretti ad andare sotto la pioggia, alcuni hanno l’ombrello. Altri no. Molti tra quelli costretti ad andare sotto la pioggi e che portano l’ombrello, la guardano cadere nei posti più disparati: palazzi, autobus, aeroporto, stazioni. Pochi tra loro riescono a sentircisi a proprio agio. Watibat Timur si.
Ha quarantatre anni ed è dentista di professione. Ha una moglie bionda e un bambino gracile, Juka. Il bambino gracile ha una palla rossa con cui ha rotto un vetro della casa dei vicini martedì.
Piove…
E il vetraio si arrampica sul davanzale della finestra bagnata. In vita sua ha sostituito centinaia di vetri rotti: di palazzi, di automobili, all’aeroporto e alla stazione.

Călin Torsan
Un Mic Aspect
il peggio è passato
trapassato in calore,
vapore opprimente,
tagliente

nella conca dell'entroterra
la mia ossessione del pozzo
chiamato Bucarest
(19 luglio)

martedì 13 luglio 2010

fili di tabacco e ingoio il fumo
nel volo continuo di piccole ali
lungo----------- verde e asfalto. vado senza allungamenti
e con le scapole chiuse
camminando piano come confusa
tra le strade non mi confoderò.

domenica 11 luglio 2010

Parole nello spazio come viventi
prolungamenti del nostre essere pensiero, di noi che poniamo limiti e aggiriamo muri e circostanze
con l’anima in pezzi di risate e l’eco del nostro nome gridato in lontananza, col cuore a raggiera, con braccia di colla e filamenti.

Limite și Limitări
Occhi chiusi. A immaginare il profilo di un movimento che si dischiude,
nell’abbandono del pensiero che si muove,
circolare e ripiegato, del pensiero scritto in forma mentale.
Sono dentro. Fuori di me. Offesa dalla mia banalità.
Rincorro una grammatica dello spirito per anestetizzare l’inquietudine. Una grammatica della parola, il bisogno del semplice dire, il solo bisogno di sfiorare appena la liberta di avere paura.
La liberta della paura.
Liberta del sentirsi soli.

Il limite che non riesco a superare è il mio. Me stessa e non io sola ad averlo costruito,
pezzo su pezzo ancora un pezzo.
Le pause sono bianche, orizzontali, senza speranza. Le pause sono i momenti di immobilismo e pensiero in eccesso. O forse solo aria, il tempo di un respiro, di un sospiro.
Sono come svuotata, e affannata nel cercare la perdita, la punta che apre la strada del nuovo e della perdita che non si ferma mai, che è sempre aperta e più elastica di ieri. La soglia attraverso cui tutto riesce a passare, anche quello che una volta sembrava immenso.
Tutto cambia e gli avanzi di me, le briciole di ciò che non è stato toccato, pian piano, se li portano via i cani Bucarest.